giovedì 19 aprile 2012

Krishnamurti: Qual è il futuro del genere umano?


Alla mangiatoia c’erano una dozzina o più di uccelli che cin­guettavano di continuo, beccavano i chicchi, lottavano, s’az­zuffavano l’un l’altro e, all’arrivo di un altro grosso uccello, vo­larono tutti via. Quando questo se ne andò ritornarono tutti, strepitando, litigando, cinguettando, facendo veramente un gran baccano. Poco dopo passò un gatto e ci fu agitazione, uno strillare e un gran daffare. Il gatto venne cacciato – era uno di quei gatti selvatici, non un gatto domestico; ce ne sono in gran numero nei paraggi, di grandezza, aspetto e colore diversi. Alla mangiatoia per tutto il giorno ci furono degli uccelli, piccoli e grandi e poi arrivò una ghiandaia blu, rimbrottan­do tutti, l’universo intero e cacciando gli altri suoi simili – o meglio, questi scapparono al suo arrivo. Fecero molta atten­zione ai gatti e, all’approssimarsi della sera, andarono via tutti e ci fu un silenzio calmo, sereno. I gatti andavano e venivano, ma non c’erano uccelli.

Quel mattino le nuvole erano piene di luce e l’aria prometteva ancora pioggia. Nelle settimane precedenti aveva piovuto. C’è un lago artificiale e le acque lo colmavano. Tutte le foglie ver­di, i cespugli e gli alti alberi erano in attesa del sole che non era ancora apparso luminoso com’è il sole della California. Non aveva mostrato la sua faccia per molti giorni.

Ci si domanda quale sia il futuro del genere umano, il futuro di tutti quei bambini che si vedono gridare, giocare – i volti così felici, dolci, belli – qual è il loro futuro?
Il futuro è ciò che noi siamo ora. 
Storicamente è così da molte migliaia di anni – il vivere e il morire e tutto il travaglio delle nostre esistenze. A quanto pare non si presta molta attenzione al futuro. Alla televisione si vedono continui spettacoli, dal mattino sino a tarda notte – a eccezione di uno o due canali – ma sono molto brevi e non troppo seri. S’intrattengono i bambini. Tutta la pubbli­cità prolunga la sensazione d’essere intrattenuti. E ciò, in pra­tica, sta accadendo in tutto il mondo. Quale sarà il futuro di questi bambini? C’è l’intrattenimento dello sport – in trenta, quarantamila seguono poche persone nel campo di gara e urlano fino a diventare rauchi. E si va anche ad assistere a certe ce­rimonie che si tengono in una grande cattedrale, a certi riti, e anche questa è una forma di intrattenimento, solo che ciò viene definito santo, religioso, pur restando, comunque, un intrattenimento – un’esperienza sentimentale, romantica, un’im­pressione di religiosità. Nell’osservare tutto ciò in parti diverse del mondo, nell’osservare che la mente si tiene occupata con il divertimento, con l’intrattenimento, con lo sport, ci si deve inevitabilmente domandare, se si è in qualche modo interessati: qual è il futuro? La stessa cosa in forme diverse? Una molte­plicità di divertimenti?

Se siete, dunque, del tutto consapevoli di ciò che vi sta acca­dendo, dovete riflettere sul modo in cui i mondi dell’intratte­nimento e dello sport attirano la vostra mente, dirigendo la vo­stra vita. Dove sta portando tutto ciò? O forse la cosa non vi preoccupa affatto? Probabilmente non vi importa del futuro. Probabilmente non ci avete pensato o, se lo avete fatto, potre­ste dire che è troppo complesso, troppo spaventoso, troppo pericoloso pensare agli anni a venire – non alla vostra vec­chiaia personale, ma al destino, se è lecito usare questa parola, all’effetto del nostro attuale modo di vivere, pieno d’ogni sorta di sensazioni e attività romantiche, emozionanti, sentimentali, e a tutto il mondo dell’intrattenimento che interferisce sulla vostra mente. Se siete minimamente consapevoli di tutto ciò, qual è il futuro del genere umano?

Come si diceva prima, il futuro è ciò che siamo ora. Se non c’è un cambiamento – non un adattamento superficiale, un super­ficiale conformarsi a un qualche modello politico, religioso o sociale, ma il cambiamento che è ben più profondo e che esige la vostra attenzione, la vostra responsabilità, il vostro affetto – se non c’è un cambiamento fondamentale, allora il futuro è ciò che stiamo facendo, ogni giorno della nostra vita, nel presente.
Cambiamento è veramente una parola difficile. Cambiamento verso che cosa? Cambiamento verso un altro modello? Verso un altro concetto? Verso un altro sistema politico o religioso? Cambiamento da questo a quello? Quello è sempre nel regno o nella sfera del «ciò che è». Il cambiamento verso quello è proiettato dal pensiero, formulato da esso, in modo materialistico.

Si deve, dunque, indagare attentamente su questa parola «cambiamento». C’è un cambiamento se c’è un motivo? C’è un cam­biamento se c’è una direzione particolare, uno scopo particolare, una conclusione che sembra sensata, razionale? O forse una frase migliore è «la fine di ciò che è». La fine, non il movimento di «ciò che è» verso «ciò che dovrebbe essere». Quello non è cambiamento. Ma la fine, la cessazione, la – qual è la parola giu­sta? Penso che «fine» sia una bella parola; atteniamoci, dunque, a essa – la fine... Ma se la fine ha un motivo, uno scopo, se è ma­teria di decisione, si tratta, allora, solamente di cambiamento da questo a quello. La parola «decisione» implica l’azione della vo­lontà. «Farò questo»; «Non farò quello». Quando il desiderio penetra nell’atto della fine, quel desiderio diviene la causa di essa. Dove c’è una causa, c’è un motivo e, così, non c’è affatto un’autentica fine.

Il ventesimo secolo ha conosciuto un’enorme quantità di cam­biamenti, prodotti da due guerre sconvolgenti; il materialismo dialettico e lo scetticismo circa le credenze, le attività, i riti re­ligiosi e via dicendo; senza contare il mondo tecnologico, che ha determinato un gran numero di cambiamenti, e ve ne saranno di ulteriori allorquando il computer si svilupperà pienamente dal momento che si è appena ai suoi inizi. Allora, quan­do subentrerà il computer, che ne sarà della nostra mente umana? Questo è un problema diverso, in cui addentrarsi un’altra volta.

Quando subentra l’industria dell’intrattenimento, come sta gradualmente avvenendo adesso, quando i giovani, gli studenti, i bambini sono costantemente istigati al piacere, al capriccio, alla sensualità romantica, le parole «freno» e «austerità» vengono respinte, senza neanche darsene pensiero. L’austerità dei mona­ci, i samnydsin, che negano il mondo, che coprono i loro corpi con qualche sorta di uniforme o solamente con uno straccio – questo rifiuto del mondo materiale non è certamente austerità. Probabilmente voi neanche darete ascolto a ciò, a quali siano le implicazioni dell’austerità. Quando si viene educati dall’infan­zia a divertirsi e a sfuggire a se stessi mediante l’intrattenimento religioso o d’altro tipo, e quando la maggior parte degli psicolo­gi sostiene che si debba esprimere tutto ciò che si sente e che qualsiasi forma di dissimulazione o inibizione sia dannosa, perché porta a varie forme di nevrosi, ovviamente si prende sempre più parte al mondo dello sport, del divertimento, dell’intratte­nimento, a tutto ciò che aiuta a sfuggire a se stessi, a ciò che si è.

La comprensione della natura di ciò che siete, senza alcun travisamento, alcun pregiudizio, senza alcuna reazione a ciò che scoprite di essere, è il principio dell’austerità. L’osservazione, la consapevolezza di ogni pensiero, ogni sensazione, non per reprimerli, per controllarli, ma per osservarli, come si osserva un uccello in volo, senza nessuno dei vostri pregiudizi e travi­samenti – quell’osservazione cagiona uno straordinario senso di austerità che va al di là di tutti i freni, di tutto il perder tem­po con se stessi e di tutta quest’idea del miglioramento e della realizzazione di sé. Tutto ciò è veramente puerile. In questa os­servazione c’è una grande libertà e in quella libertà c’è il senso della dignità dell’austerità. Ma se diceste tutto questo a un mo­derno gruppo di studenti o di bambini, essi probabilmente guarderebbero fuori dalla finestra, annoiati, perché questo mondo è volto al proprio perseguimento del piacere.

Un grosso scoiattolo fulvo scese dall’albero e salì alla mangia­toia, rosicchiò qualche chicco, si sedette in cima, guardò intor­no con i suoi grandi occhi luminosi come perle, la coda in su, piegata – una cosa meravigliosa. Rimase seduto pressa poco un istante; scese, avanzò verso le poche rocce e poi sfrecciò sull’albero e scomparve.



Sembra che l’uomo sia sempre fuggito da se stesso, da ciò che egli è, da dove sta andando, da tutto ciò di cui si parla – l’universo, la nostra vita quotidiana, il morire e il cominciare. È strano che non ci si renda mai conto che, per quanto si fugga da se stessi, per quanto ci si smarrisca, consapevolmente, in­tenzionalmente o inconsapevolmente, sottilmente, il conflitto, il piacere, il dolore, la paura e via dicendo sono sempre là. In definitiva prevalgono. Potete cercare di eliminarli, di respin­gerli intenzionalmente con un atto di volontà, ma essi riaffiorano. E il piacere è uno dei fattori che predominano, anch’esso ha gli stessi conflitti, lo stesso dolore, lo stesso tedio. La noia del piacere e il cruccio fanno parte di questo tumulto della no­stra vita. Non puoi fuggire a ciò, amico mio. Non puoi sottrarti a questo profondo, misterioso tumulto, salvo che tu non te ne dia veramente pensiero; non solo pensare, ma vedere con attenzione accurata, con assidua osservazione, l’intero movi­mento del pensiero e del sé. Puoi dire che tutto ciò è troppo fastidioso, forse non necessario. Ma se non gli dedichi atten­zione, se non te ne curi, il futuro non solo sarà più distruttivo, più insopportabile, ma anche non molto significativo. Tutto ciò non è un punto di vista scoraggiante, avvilente; è realmente così. Ciò che sei adesso è ciò che sarai nei giorni a venire. Non lo puoi evitare.

È sicuro come il sorgere e il tramontare del Sole. 


Questo è ciò che spetta a ogni uomo, a tutta l’umanità, a meno che non cambiamo – ciascuno di noi – a meno che non ci trasformiamo in qualcosa che non è proiettato dal pensiero.

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