mercoledì 9 maggio 2012

Krishnamurti: Libertà e Rivolta


Saanen, 11 luglio 1963

Sebbene parli di libertà, la maggior parte di noi non vuole essere veramente libera. Non so se avete osservato questo fatto. Nel mondo moderno – in cui la società è estremamente organizzata, in cui c’è sempre più “progresso” e la produzione di oggetti è così diffusa e facile – si diventa schiavi dei beni materiali, delle cose, e si trova sicurezza in essi. E la sicurezza è tutto ciò che vuole la maggior parte di noi – sicurezza fisica o emotiva – quindi, non vogliamo veramente essere liberi. Per libertà, intendo la libertà totale, non la libertà secondo una particolare linea di condotta, e cre­do che dobbiamo esigerla da noi stessi, con fermezza.
La libertà è diversa dalla rivolta. 
La rivolta è contro qualcosa: vi rivoltate contro qualcosa e siete a favore di qualcosa. La rivolta è una reazione, ma la libertà non lo è. Nello stato di libertà, non sie­te liberi da qualcosa. Nel momento in cui siete liberi da qualcosa, in realtà state rivoltandovi contro questo qualcosa; quindi, non sie­te liberi. La libertà non è “da qualcosa”, ma la mente è libera in sé. Essere libera in sé, conoscere la libertà per il proprio beneficio, è una sensazione straordinaria per la mente.
Ora, a meno che non si sia liberi, non vedo come si possa essere creativi. Non sto usando la parola creativo in senso limitativo, come quello di un uomo che dipinge un quadro, scrive una poesia o inventa una macchina. Secondo me, persone simili non sono affat­to creative. Possono essere ispirate in quel dato momento, ma la creatività è completamente diversa. L’atto creativo può aver luogo solamente quando c’è totale libertà. Nello stato di libertà c’è pie­nezza, e allora scrivere una poesia, dipingere un quadro o cesellare una pietra assume nell’insieme un diverso significato. In questo caso, non è un semplice modo di esprimersi, non è il risultato di una frustrazione, non è più un prodotto alla ricerca di un mercato: è qualcosa di completamente diverso. Mi sembra che dovremmo esi­gere di conoscere questa libertà completa, non soltanto in noi stes­si ma anche verso l’esterno.
Credo che, per prima cosa, dovremmo distinguere tra libertà, da una parte, e rivolta o rivoluzione, dall'altra. La rivolta e la rivo­luzione sono essenzialmente delle reazioni. C’è la rivolta dell’estre­ma sinistra contro il capitalismo, e la rivolta contro il predominio della chiesa. C’è anche la rivolta contro la polizia, contro il potere delle tirannie organizzate, ma al giorno d’oggi non serve a molto, perché vi liquidano molto tranquillamente, vi mettono da parte.
Per me la libertà è qualcosa di completamente diverso. La li­bertà non è una reazione, ma è invece lo stato mentale che sorge quando comprendiamo la reazione. La reazione è la risposta a una sfida; è piacere, collera, paura, sofferenza psicologica, e compren­dendo la complessa struttura delle risposte, ci imbatteremo nella libertà. Allora scoprirete che la libertà non è libertà dalla collera, dall’autorità e via dicendo. È uno stato in sé, da esperire in sé, e non perché siete contro qualcosa.
La maggior parte di noi è interessata alla propria sicurezza. Vo­gliamo una compagnia e speriamo di trovare la felicità in un particolare rapporto; vogliamo essere famosi, creare, esprimerci, espan­derci, realizzarci; vogliamo avere potere, prestigio, una posizione nella vita. A un livello o a un altro, questo è in realtà ciò che inte­ressa la maggior parte di noi; mentre la libertà, dio, la verità, l’amore, diventano cose da cercare in un secondo tempo. Quindi, come ho detto, la religione è una cosa superficiale, una specie di passatempo che non svolge un ruolo molto importante nelle nostre vite. Ci accontentiamo delle banalità e, quindi, non c’è l’attenzio­ne, la percezione, necessaria a capire quel complesso meccanismo che chiamiamo vita. La nostra esistenza è una lotta costante, uno sforzo vano e continuo: e per cosa? È una gabbia in cui siamo pri­gionieri, una gabbia che abbiamo costruito con le nostre reazioni, con le paure, la disperazione, l’ansia. Tutto il pensiero è una rea­zione. Ne abbiamo discusso l’altro giorno, quando è stato chiesto: “Qual è la giusta funzione del pensiero?”. Abbiamo affrontato la domanda con molta attenzione, e abbiamo scoperto che tutto ciò che pensiamo è una reazione, la risposta della memoria. L’intera struttura della nostra coscienza, del nostro pensiero, è il residuo, il serbatoio delle nostre reazioni. Ovviamente, il pensiero non potrà mai generare libertà, perché la libertà non è il risultato di una rea­zione. La libertà non è il rifiuto di una cosa che ci causa dolore e non è neppure il distacco dalle cose che ci danno piacere e delle quali siamo diventati schiavi.
Ora, l’unica vera libertà è la libertà dal conosciuto. Vi prego di seguirmi un po’. È la libertà dal passato. Il conosciuto ha il suo po­sto, ovviamente. Devo conoscere certe cose in modo da agire effi­cacemente nella vita quotidiana. Se non sapessi dove vivo, mi per­derei. C’è poi l’accumulo di nozioni della scienza, della medicina, e ci sono numerose tecnologie alle quali viene aggiunto sempre qualcosa di più. Tutto ciò rientra nell’ambito del conosciuto e vi trova il suo posto. Ma il conosciuto è sempre ripetitivo. Ogni esperienza che avete fatto, nel lontano passato o soltanto ieri, si trova nell’am­bito del conosciuto e, a partire da questo retaggio, riconoscete ogni altra esperienza. Nell'ambito del conosciuto c’è attaccamento, con le sue paure, le sue disperazioni, e la mente che è trattenuta in questo ambito, per quanto esteso e vasto sia, non è mai libera. Può scrivere libri intelligenti, può sapere come andare sulla luna, può inventare le macchine più complesse e straordinarie – se ne avete vista qualcuna, sapete che sono veramente straordinarie – ma è sempre trattenuta nell’ambito del conosciuto.
Ora, la libertà da tutto ciò è libertà dal conosciuto; è lo stato di una mente che dice “Non so” e che non cerca una risposta. Una mente simile non è mai alla ricerca, in attesa di qualcosa, ed è soltanto in questo stato che potete dire: “Ho capito”. È l’unico stato in cui la mente è libera, e da questo stato potete osservare le cose conosciute; non in senso inverso. Partendo dal conosciuto, non po­tete assolutamente vedere il non conosciuto, ma una volta che avete compreso lo stato della mente che è libera – ossia la mente che dice “Non so”, che rimane senza risposte ed è quindi innocente – a partire da quello stato potete agire efficacemente, potete essere un cittadino, una persona sposata o quello che volete. Allora, ciò che fate ha attinenza e importanza nella vita. Ma noi rimaniamo nell’ambito del conosciuto – con tutti i conflitti, gli sforzi, le di­spute, le angosce – e da li tentiamo di trovare ciò che ci è scono­sciuto; quindi, non siamo veramente alla ricerca della libertà. Ciò che vogliamo è la continuazione, l’estensione della stessa vecchia cosa: il conosciuto.
Se ascoltate per la prima volta questa affermazione, secondo la quale dovete essere senza pensieri, potreste dire: “Poveretto, deve essere matto”. Ma se avete veramente ascoltato, non soltanto que­sta volta ma nei molti anni in cui qualcuno di voi ha forse letto tutto a riguardo, saprete che ciò che è stato detto ha una straordina­ria vitalità, è una verità penetrante. Soltanto una mente che si è svuotata del conosciuto è creativa. Questo è l’atto creativo. La cosa creata non ha niente a che fare con esso. La libertà dal conosciuto è lo stato di una mente in fase creativa. Come può una mente in fase creativa interessarsi a se stessa? Di conseguenza, per capire questo stato mentale, dovete conoscere voi stessi, dovete osservare il processo del vostro pensiero: osservarlo, non alterarlo o cambiarlo, ma semplicemente osservarlo come quando vi guardate allo specchio. Quando c’è libertà, allora sì che potrete usare il cono­sciuto ed esso non distruggerà l’umanità. Ma quando non c’è li­bertà e fate uso del conosciuto, causate infelicità a tutti, che vi tro­viate in Russia, in America, in Cina o da qualsiasi altra parte. Chiamo seria la mente che è consapevole del conflitto del conosciuto e non ne rimane intrappolata, che non cerca di modificare, di mi­gliorare il conosciuto; perché su quel sentiero non c’è fine alla sof­ferenza e dell’infelicità.

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